"CRIMINI AMBIENTALI LIQUIDI - Gli smaltimenti illegali dei rifiuti liquidi industriali e domestici" è un libro di Maurizio Santoloci e Valentina Santoloci. Il confine tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” è fonte molto spesso di equivoci interpretativi ed applicativi da parte di molti titolari di aziende e molti organi di P.G., pur essendo campo di gravissime illegalità.


INTRODUZIONE


Nello scrivere questo libro siamo consci che si tratta di un tema di potenziale scarso interesse per il pubblico in generale, atteso che il tema fino ad oggi non ha riscosso una attenzione diffusa in tutti i settori (aziendali, amministrativi ed investigativi). Un libro che rischia, dunque, di essere “di nicchia”, riservato a pochi e di scarsa diffusione editoriale perché non affronta i classici temi in materia di rifiuti.

Ma è proprio per questo motivo che abbiamo – invece – voluto realizzare questo volume... Accettando il rischio. Proprio perché l’argomento, che a noi sembra di primario interesse per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica, a tutt’oggi non è stato ancora percepito come uno dei problemi principali e fonte di maggior danno nel settore della gestione illecita dei rifiuti. Da parte nostra vogliamo – dunque – tentare di offrire un modesto contributo alla diffusione di tali tematiche per favorire un rinnovato impegno di controlli in materia, che oggi si presentano come assolutamente irrinunciabili.

I riversamenti di acque reflue aziendali in vasche e cisterne, con successivo prelievo e trasferimento dei liquami, ed il trasporto dei liquami medesimi con successivo riversamento verso un impianto di destinazione, nel gergo comune impropriamente vengono indicati come “scarichi”. Infatti è frequente la frase “l’azienda scarica i propri liquami in vasca” oppure “l’autospurgo scarica il contenuto nell’impianto”.

Tali espressioni terminologiche sono profondamente errate e generano pericolosi equivoci interpretativi e – soprattutto – applicativi sia da parte delle aziende che da parte delle forze di polizia e dei tecnici amministrativi. Se si parte, infatti, dalla convinzione di prassi comune (totalmente inesatta) che un’azienda “scarica” in vasca, la conseguenza logica è che tutta la connessa disciplina (autorizzatoria, gestionale e sanzionatoria) va individuata nella parte terza del D.Lgs n. 152/06. Il che è radicalmente inesatto e ci porta a conseguenze del tutto fuorvianti in ogni sede. L’azienda rischia pesanti sanzioni e sequestri per tale errata interpretazione della norma, l’organo di polizia rischia la nullità ed inefficacia dei verbali, l’organo tecnico della pubblica amministrazione rischia di rilasciare atti autorizzatori abnormi ed illegittimi. Tutto questo per una errata individuazione ed interpretazione del concetto formale di “scarico” basata su prassi antiche e radicate ma del tutto inesatte.

In via preliminare, dobbiamo ricordare, in modo inequivocabile, che l’ex scarico indiretto non esiste più. Questo è un punto di estrema importanza perché molte aziende, ma anche molti tecnici amministrativi, ancora ritengono in modo assolutamente improprio che tale concetto sia ancora vitale. D’altra parte le sbagliatissime espressioni terminologiche che abbiamo sopra citato (in particolare quella: “l’azienda scarica in vasca”) sottintendono in modo inequivocabile che tale concetto, seppur non viene espressamente dichiarato e manifestato, alberga comunque ancora in modo silente e latente dentro il pensiero di molti operatori sia di aziende private che della pubblica amministrazione. Altrimenti tali espressioni non verrebbero usate in modo molto comune e diffuso. Infatti il concetto di “scarico in vasca” o di “scarico da autospurgo” rappresenta l’esatta e puntuale esternazione verbale del principio dello scarico indiretto, in quanto in un passato molto remoto tali realtà erano in tal modo classificate.

Infatti in tempi arcaici, vigente la legge n. 319/76 (cosiddetta “legge-Merli” sull’inquinamento idrico), il liquame che dall’azienda veniva riversato in vasca per poi essere prelevato e trasportato altrove, era sempre disciplinato dalla norma in questione come “scarico indiretto”; ma oggi detta figura giuridica non esiste assolutamente più (e questo fin dalla pregressa normativa del D.Lgs. n. 152/99). Consegue dunque che la disciplina giuridica delle vasche e comunque di ogni struttura destinata a ricevere i liquami, come cisterne interne all’azienda o fusti o altro, trasforma automaticamente il liquame non più in uno “scarico” bensì in un “rifiuto liquido costituito da acque reflue” e dunque soggetto alla disciplina giuridica del D.Lgs. n. 152/06 parte quarta sui rifiuti.


Il confine tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” è fonte molto spesso di equivoci interpretativi ed applicativi da parte di molti titolari di aziende e molti organi di P.G., pur essendo campo di gravissime illegalità.

Non va sottaciuto un dato importante in modo trasversale: chi delinque con i liquami (settore che costituisce una vera e propria nuova frontiera di temibile importanza nel contesto della criminalità organizzata in materia ambientale) tende a spacciare la propria attività come “scarico” per rientrare nelle sanzioni della parte terza del D.Lgs. n. 152/06 che sono molto più modeste di quelle contenute invece nella parte quarta che riguarda i rifiuti anche liquidi. La parte terza è infatti sostanzialmente depenalizzata o microcriminalizzata, prevede regole di sola forma e di scarsa sostanza, è limitata da procedure per il controllo, prelievo ed analisi estremamente complesse che rendono spesso vani gli accertamenti della P.G..

Per questi motivi la tendenza di chi smaltisce rifiuti liquidi, anche pericolosi, è quella di ingannare a livello giuridico e sostanziale l’organo di controllo per indurlo ad operare entro il contesto molto più blando a livello regolamentativo e soprattutto sanzionatorio delle norme sugli scarichi anziché nel contesto normativo dei rifiuti liquidi. Ecco dunque che percepire bene gli esatti parametri di questo confine tra le due parti del D.Lgs. n. 152/06 è straordinariamente importante per gli organi di polizia giudiziaria.

In tale contesto generale, ricco di forti elementi di illegalità sistematica, capita anche spesso che aziende in buona fede, che non hanno certamente la tendenza a violare la legge come principio ma che sono trascinate spesso imprudentemente nella illegalità a causa della imprudente osservanza di regole e di prassi comuni arcaiche e superate, si trovano all’improvviso (loro malgrado) inserite nel sistema sanzionatorio della gestione illegale dei rifiuti - di straordinaria importanza e di forte incidenza come responsabilità personale - pur non avendo certamente a monte una volontà di violare la legge.

Questo accade piuttosto frequentemente laddove il titolare dell’azienda cade nella trappola terminologica che lo induce a scambiare un riversamento di liquami in vasca (o in altro contenitore) - con il successivo trasporto - verso un impianto terzo con l’improprio ed ormai abolito concetto dello scarico indiretto. Infatti, andando a gestire questo riversamento di liquami come uno scarico secondo le regole della parte terza del D.Lgs. n. 152/06, anziché come un rifiuto liquido, disciplinato dalla parte quarta della stessa norma, in sede di controllo si trova esposto ai gravi reati di gestione illegale di rifiuti liquidi.

Insomma, sottovalutazioni di principio, equivoci terminologici, errate interpretazioni sono state fino ad oggi il terreno di coltura per l’innesto della criminalità organizzata in questo delicatissimo settore dal quale ha tratto un business infinito. Vediamo come e perché, ma soprattutto cosa si può ancora fare per contrastare questi crimini ambientali liquidi...


Maurizio Santoloci
e
Valentina Santoloci


Ottobre 2016


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